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L’AMORE CHE SA FARSI PERDONO

AL CENTRO PASTORALE DIOCESANO GIORNATA DI SETTORE DELL’END CON M.CARLA VOLPINI E GAIA SPERA

di Gianni e Gabriella Persia -Coppia Cultura- END Sulmona

Si è aperto con il saluto del Vescovo , S.E. Michele Fusco , il simposio dal tema : L’Amore che SA FARSI perdono, promosso dall’END, Settore di Sulmona”.

L’incontro da tempo atteso con Maria  Carla  e Gaia  vede,  il 9 Febbraio, gli equipier END riunirsi intorno a due esperte in campo sociale, relazionale, associativo e formativo di area cattolica : Maria Carla  con un lungo percorso di servizio nell’END, insieme al marito Carlo,  hanno  coperto  l’incarico di Responsabili dell’ Equipe Internazionale del Movimento, ora , Maria Carla è membro del Pontificio Consiglio per la Famiglia e agisce in altre realtà  e opere associative in campo cattolico…;  Gaia, scrittrice,  ha  dato vita alla rete di solidarietà  FATT MAIL, è  co-fondatrice e presidente di SONG-TAABA ONLUS, attiva nella solidarietà internazionale con progetti di formazione e prevenzione, quale READING  di PREVENZIONE…

Le due relatrici sono state  per tutti noi un dono che ci ha arricchito di stimolanti prospettive sull’amore-perdono,due forme di una stessa realtà.

La parola perdono porta alla memoria un torto subito, e la ferita  ricevuta , anche se perdonata, lascia sempre una cicatrice, che racconta  il male vissuto oppure può raccontare cosa da quel male è scaturito, se è stata un trampolino di lancio nella fede, quella fede che ci fa essere in Dio e scegliere di far pervadere tutta la vita dall’amore, riconoscendo che c’è altro fuori il mio io.

Perdono non è fare uno scambio con Dio perchè ci ha detto di perdonare, così che siamo aiutati nel sentirci “persona buona”, pur continuando a sentire il peso della ferita .

La riconciliazione, invece, vuole un percorso delle due parti in causa, partendo da due posizioni diverse, come dalle due parti opposte di un ponte, per un percorso più o meno lungo, perché il perdono non è un semplice dono, se consideriamo che il male subito è entrato dentro di noi e solo noi possiamo decidere quanto tempo vogliamo ospitarlo in noi, facendo, così, in questo tempo, male a noi stessi.

Gaia condivide con noi la sua personale esperienza, il suo percorso, dovuto alla sua malattia, aiutandoci ad aprire uno sguardo largo su amore- perdono,  Sei anni fa una emorragia celebrale ha tenuto Gaia completamente paralizzata sul lato sinistro, per mesi, lasciandole un danno permanente.

Solo la guarigione può cancellare la malattia e, quando non arriva, è possibile restare pieni di rabbia e tristi. Allora hai bisogno di elaborare una forma di guarigione dentro di te che implica l’accettazione dell’imperfezione e del cambiamento perché la vita, se è vita, implica cambiamenti, implica trasformazione.

La guarigione riguarda poco il corpo e molto lo spirito, poco il mantenere stabilità e molto trasformare chi siamo.

 La domanda classica di fronte ad una malattia grave è: ”Perché proprio a me ?”  Ecco che dietro a questa domanda è insita l’idea di punizione, di fallimento, mentre la malattia è una prova, un’esperienza che ci mette in un cammino, che porta a mettere in discussione le nostre idee sul buono e cattivo e, poi, sull’idea di perfezione e di controllo su quanto stiamo vivendo.

Per Gaia, la malattia, la debolezza è stata un’immensa opportunità, ha ridotto le distanze con gli altri e ha arricchito, trasformato, rifondato le sue relazioni, ha cambiato la direzione della sua vita.

 Il disegno di Dio su Gaia, attraverso la malattia, ha portato ad uno scambio di binari, a scoprire, a trasformare la sua identità perché  chiunque  incontra il male scopre che è molto importante  decidere cosa fare con quel male che è entrato nella nostra vita.

E’ importante scoprire sempre di più ciò che porta vita, perché la vita è un’infinità di forme altre che più consideriamo valide e più aiutano a trovare il senso, la ricchezza alla nostra esistenza.

Per ottenere qualsiasi verità su se stessi abbiamo bisogno di passare attraverso l’altro e con la parte altra, profonda di noi, dove abitano pulsioni, conflitti, ferite, desideri repressi…e tanta altro a cui Freud ha dato nome di inconscio

Noi siamo molto altro rispetto alla malattia,al fallimento e Gaia lo ha compreso. E’ importante accogliere l’alterità che è in noi: fragilità, fratture, caratteristiche che non ci piacciono perché finchè tu non ti perdoni, non ti ami e non sarai felice .finchè non riconoscerai nella tua esistenza, qual è  la migliore delle tue possibilità da cui partire per esprimere tutto te stesso.

Proviamo a guardaci con gli occhi con cui ci guarda Dio che ci ama esattamente così come siamo., che ama tutte le parti dell’iceberg, quella che sta fuori e quella nascosta.   E, in tal modo, noi impariamo ad amarci e ad amare. 

Se il nostro amore sarà così, se sapremo rompere i nostri limiti che viaggiano sui binari che vanno dal desiderio della sicurezza al binario di poter evitare la paura anche della malattia e della morte, avremo sempre vita nuova 

Riguardo alla sicurezza, tuti tendiamo a cercare di essere sicuri nelle nostre relazioni, che l’altro non ci deluda, non ci ferisca… e così non abbiamo fiducia in Dio, nella forza dell’amore, ma solo in noi stessi, nelle relazioni che riusciamo a costruirci… mentre il Signore chiede di amare perfino  il nemico che rappresenta, incarna l’ostacolo, lo straniero, l’alterità irriducibile su cui non abbiamo potere, come la nostra irriducibile alterità che vorremmo rimuovere perché non amabile.

La buona notizia è questa: l’amore ci rende liberi anche dalla paura, dal male dentro di noi e fuori di noi. è liberante anche per chi ci sta accanto. Questa è la potenza dell’amore.

Tutti noi possiamo essere parola, azione che porta amore nel mondo oppure no, e questo NO è fallimento, peccato, ferita per noi stessi, perdita, ma non per Dio che sempre perdona, perché a Dio non interessa il male commesso, ma il bene che da ora possiamo compiere.

 Siamo importanti per Dio perché l’amore di Dio può espandersi sulla terra solo attraverso di noi, nel nostro presente, qui ed ora e questo vuol dire che ognuno di noi ha bisogno di assumere gli occhi, lo sguardo di chi guarda solo avanti similmente a Dio che non guarda indietro, non guarda il nostro passato. Allora, guardiamo in avanti e riprendiamo ad amare, anche se attraversati dal male perché sempre possiamo scegliere di trasformare i sassi della vita in amore.

Anche Maria Carla ci ha fatto dono della sua personale esperienza che ha chiamato: Una provocazione per mescolare le carte.

 Maria Carla racconta di aver partecipato ad un incontro particolare, impensabile, tra due donne, protagoniste di quegli anni di piombo, violenti, difficili per il nostro Paese, incontro avvenuto tra Agnese Moro e Adriana Faranda.  Al tempo, due ragazze con formazioni culturali, sociali, politiche, ideali diverse. Un incontro affatto ipotizzabile a quei tempi, quando, 50 anni fa, la prigionia di Moro è finita con la sua tragica morte.

Ci sono voluti 7 anni di percorso, di incontri fra le due donne , alle quali si è opponeva la famiglia Moro, ma che Agnese ha voluto.

Oggi, l’incontro tra Agnese e Adriana apre prospettive arricchenti rispetto all’idea di perdono.

Agnese Moro afferma “Io non uso mai la parola “PERDONO” perché è una parola SCIVOLOSA, obbliga a dividere tra buoni e cattivi, obbliga a dividere tra chi chiede perdono e chi lo concede, quindi è una parola che crea differenze.”

Adriana Faranda dichiara: ” Scontata la pena sentivo che c’era ancora bisogno di nuovi passi per andare avanti”.  Difatti del passato non resta che un fascicolo legale, mentre la persona è altra cosa.

Aver pagato la colpa con anni di carcere da parte di Adriana e aver dato il perdono con il sostegno della fede, da parte di Agnese, non basta a nessuna di loro.   Dentro la vita delle due donne restano nodi da sciogliere e tutto questo investe il processo che intercorre tra la giustizia retributiva e la giustizia riparativa.

La giustizia retributiva si muove tra i parametri della legge, quindi al centro c’è il reato e anche l’ espiazione della colpa, ma non lascia la pace nel cuore sia in chi ha subito il male sia in chi lo ha inflitto perchè non riesce a colmare la sete di riparazione.

Adriana e Agnese durante il percorso intrapreso, in un lento avvicinamento, hanno individuato il problema: è necessario mettere al centro non la colpa, il torto subito, ma la persona, bisogna cercare l’incontro.

Da questo spostamento di prospettiva, lentamente, Agnese vede il dolore dell’altra.  

L’ incontro con l’altro apre il campo alla giustizia riparativa.

Nessun perdono può riparare quello che è accaduto, ma passando attraverso i vissuti, l’incontro, la relazione , si impara a guardare  la persona, l’altro con occhi diversi.

Quindi, il perdono è un viaggio, un esodo da noi stessi, è ripartire verso strade nuove che non pensiamo possibili.

Come consulente familiare, Maria Carla incontra molte coppie in crisi, figli in difficoltà, che parlano di dolorose fratture, storie che, tuttavia, possono ripartire in modo diverso.

Alla base di chi viene da lei in consultorio, c’è il desiderio di rigenerare una relazione e le prime parole che tutti dicono sono di perdono, anche se non riescono a dimenticare il torto, il male ricevuto.  

L’invito di Maria Carla è quello di mettere tutte le parole, compreso la parola perdono, in disparte , quindi, iniziare a raccontare l’evento che ha ferito ,evidenziando tutte le emozioni, i sentimenti provati, mentre l’altro ascolta soltanto.

Ognuno farà entrare dentro di sé il vissuto dell’altro.   Alla fine, le due persone tornano a guardarsi, accorgendosi che le parole di prima non hanno più senso, lo sguardo è diverso, è cambiata la prospettiva e quello che va donato all’altro è la propria fragilità, il proprio dolore, l’amore ritrovato. Quindi non è importante ciò che è capitato ma ciò che voglio farne di quel dolore, di quel fallimento di quel male.

Maria Carla che, attualmente, fa parte dell’Equipe Caffarel, presente in ogni super Regione del mondo, con l’obiettivo di presentare, di far conoscere la figura di Caffarel, conclude aprendo una piccola finestra sul fondatore END.

Ecco  due chicche, estratte dagli scritti di Caffarel , estrapolate da alcune storie di coppia:

  • Conoscersi a memoria non esiste in amore. C’è amore vivo se ognuno degli sposi riflette la luce del cielo, come il lago riflette la luce del cielo. Il lago non riflette mai il paesaggio di ieri. .
  • Perdonare è strappare la pagina su cui si scrive con malizia o con dolore il conto di debito del coniuge e ritrovare davanti a lui/lei l’atteggiamento da dare senza riserve. Cambiare il proprio cuore e cambiare la propria prospettiva, abbandonare lo sguardo critico per adottare lo sguardo d’amore,

Caffarel non è un santino da appendere al muro, dice M.Carla, che ha avuto modo di incontrarlo, vivente…è stato non solo un prete diocesano, non solo fondatore dell’END, ma un profeta da conoscere molto di  più , un profeta con una visione molto ampia della realtà umana, impegnato a tutto campo , fra la gioventù cattolica operaia, in attività politiche e di assistenza sociale, presidente di organizzazioni cattoliche riguardati i media ( radio, televisione, giornali), impegnato intensamente nonostante soffrisse di stanchezza celebrale.

C’è tanto da prendere dalla vita e dagli scritti di Caffarel e noi equipier dobbiamo farlo.

Nel pomeriggio, ci riuniamo in equipe di formazione per riflettere e condividere le nostre esperienze, in relazione a quanto ci hanno regalato le due relatrici.

La giornata si conclude, quindi, nella chiesa della Madonna Pellegrina con la partecipazione alla Celebrazione Eucaristica, presieduta da Don Domenico Villani, Consigliere Spirituale dell’Equipe di Settore.